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Assalto alle Alpi
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Assalto alle Alpi

Autore

Marco Albino Ferrari, giornalista, scrittore, sceneggiatore e divulgatore, è una delle voci piú autorevoli della cultura di montagna. Attualmente è Consigliere Editoriale di "L'AltraMontagna", il nuovo quotidiano online che approfondisce i temi ambientali e sociali delle Terre Alte. E' stato Direttore Editoriale e Responsabile del settore cultura del Club Alpino Italiano (CAI) dal 2022 al 2023. Negli anni Novanta ha diretto la rivista "Alp". Nel 2002 ha ideato il bimestrale "Meridiani Montagne", che ha diretto fino al 2018. Ha collaborato con i quotidiani "La Stampa", "Corriere della Sera" e altre testate. Ha curato mostre, allestimenti museali e collane di libri. Calca i palcoscenici con alcuni monologhi teatrali, tra cui "Assalto alle Alpi", tratto dal suo omonimo libro. Come scrittore, ha esordito nel 1996 con "Frêney 1961", piú volte ripubblicato. Tra i suoi libri, "Mia sconosciuta" è stato candidato al Premio Strega e ha vinto nel 2021 il Premio ITAS del Libro di Montagna. Altri importanti riconoscimenti, che ha ottenuto nel corso della sua carriera di scrittore, sono: il Premio Gambrinus - Giuseppe Mazzotti (per due volte), il Premio Leggimontagna, il Premio ANA Giornalista dell’Anno, il Premio Cortina, il Premio Majella, il Pelmo d’Oro alla Carriera. "Assalto alle Alpi" è il suo ultimo libro. 


Editore

Einaudi


Anno

2023


ISBN

9788806254728


Pagine

144

Presentazione

Perchè c'è un assalto alle Alpi?
«... Nel nostro prossimo futuro pende una minaccia sulle Alpi, se si continuerà ad attingere a vecchi stereotipi idealizzanti, che riducono la montagna a luogo salvifico di pura “bellezza” o a "parco divertimenti" per il turista in fuga dalle città ...».
Come ci siamo arrivati?
«... Da qualche decennio a questa parte, la montagna è in continua evoluzione. Con il boom economico i giovani alpigiani avevano creduto in una vita migliore in pianura, grazie al lavoro in fabbrica. Scendere aveva significato ripudiare l’antica "società della fatica", andando incontro al posto di lavoro garantito. Con la progressiva assenza umana, nelle cosiddette vallate "di serie B" (quelle non frequentate dal turismo di massa e non comprese in qualche lista di eccellenza) ha trionfato un inesorabile processo di rinaturalizzazione. Interi villaggi sono stati abbandonati. Si è registrato il raddoppio di superficie boscata dal dopoguerra, sono ritornati i grandi carnivori e, in massa, gli animali selvatici. Nelle cosiddette vallate "di serie A", invece, c'è stato un vero e proprio assalto. Iniziato con lo sport, dall’alpinismo dei secoli passati, ancora poco invasivo, allo sci dei tempi moderni. E con lo sci da discesa, ecco gli impianti di risalita: le funivie, gli ski-lift e i tapis roulant. Fino agli anni Ottanta, l’industria dello sci ha contribuito ad evitare lo spopolamento di molte vallate sulle Alpi, a ridurre la povertà ed a portare lo sviluppo economico. Oggi, però, la situazione è radicalmente cambiata. Molte stazioni sciistiche, soprattutto quelle a bassa quota, hanno dovuto chiudere per effetto dei cambiamenti climatici. Abbiamo tante piccole realtà, che chiedono risorse pubbliche per poter continuare a operare. E poi ci sono le grandi società, che gestiscono i grandi complessi, le quali puntano a crescere sempre di più. Ma, questi grandi comprensori non chiedono di aumentare la propria capacità di offerta per adeguarsi alla domanda degli sciatori (provenienti, soprattutto, dall’estero e da Paesi non alpini): si tratta di battere la concorrenza e vantare un nuovo primato (la gara è tra i comprensori sciistici). Un po’ come avviene nelle città con i centri commerciali, che diventano sempre più grandi, senza che ci sia una reale domanda. Si tratta di superfici enormi, dove si fa largo uso dei "cannoni" per produrre neve artificiale, ma le giornate in cui la temperatura rimane costantemente sotto i meno due gradi (in gergo, i cosiddetti “giorni-neve”) sono sempre di meno ed in quel ristretto lasso di tempo va prodotta la maggior quantità di neve possibile. Questo richiede una notevole disponibilità d’acqua, perciò servono invasi artificiali sempre più capienti per raccoglierla e conservarla in grandi quantità, per averla subito a disposizione e cogliere l'attimo propizio, prima che la temperatura si rialzi ...».

Come immaginare il futuro prossimo dell’industria dello sci?

«... Per prima cosa occorre interrompere quell’accanimento terapeutico, che permette di mantenere in vita le piccole stazioni sciistiche, situate in località dove la neve è destinata a scomparire. E bisogna dire basta all’aumento delle piste da sci: non c’è bisogno di nuove infrastrutture, dal momento che il numero di praticanti di questa disciplina non sta aumentando. L’esperienza degli ultimi anni dimostra che, da parte delle persone, c’è voglia di montagna, di stare all’aria aperta. Ma, lo sci è solo uno tanti dei mezzi per farlo ...».
Quali sono le alternative all’industria dello sci?

«... Conoscere il territorio, fare escursioni anche in inverno, con le ciaspole quando nevica. E poi c'è lo sci-alpinismo. Vivere la montagna fuori dalla pista da sci, significa aprirsi alla libertà. La montagna ha tanto altro da offrire, un universo in cui la pista da sci diventa solo una parte dell’offerta. La montagna che guarda alla salita, anzichè alla discesa, è quella più vicina all’essenza delle Alpi. Una dimensione di fatica e di conquista. Bisogna accettare la fatica, un investimento che si fa per arrivare nei luoghi e che ripaga durante e alla fine del percorso. Se la si sopprime per strizzare l’occhio al pubblico più pigro, perdiamo il valore più intrinseco della montagna ...».

Quali sono le altre risorse su cui investire?
«... Possiamo pensare di riattivare la filiera del legno e altre industrie leggere, tecnologiche. Si possono localizzare certe produzioni, creando dei veri e propri laboratori socio-ambientali. Oggi la montagna può prestarsi ad una sorta di delocalizzazione di prossimità per certe attività creative, che si fanno in città, o di innovazione tecnologica. La montagna deve essere popolata, ma non ci si deve consegnare alla monocoltura del turismo, perché quello è un danno alle comunità ...».

Qual è il pericolo dei vecchi modelli di sviluppo turistico?

«... Il pericolo reale è che tutto rimanga come adesso, che si continui a immaginare lo stesso sviluppo turistico con nuovi impianti di sci, dimentichi del riscaldamento climatico. Che si continui a cementificare, costruire impianti di risalita, progettare grandi opere inutili e grandi eventi consumatori di suolo ...».

Marco Albino Ferrari

Assalto alle Alpi

Le Alpi sono minacciate da modelli di sviluppo del passato. Sul piano materiale, dal varo di nuove infrastrutture turistiche pesanti; sul piano immateriale, attraverso vecchi stereotipi idealizzanti, che riducono la montagna a luogo salvifico di pura "bellezza". 

Per dare futuro alle Alpi è necessario uno sguardo nuovo, consapevole, rispettoso.

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Presentazione del libro: "Assalto alle Alpi"

Il libro è stato presentato dall'autore il 25 Gennaio 2024, presso la sala conferenze "F. Isacchi" della Fondazione Casa Prina, in Piazza Prina 5 a Erba (Co).

A dialogare con l'autore, c'era Luca Rota: scrittore, blogger e promotore culturale.

Durante l'incontro, a ingresso libero fino ad esaurimento posti, hanno preso la parola i portavoce del Coordinamento "Salviamo il Monte San Primo", che hanno fatto il punto della situazione sullo stato di avanzamento del dissennato progetto di realizzazione con soldi pubblici di nuovi impianti di risalita e di innevamento artificiale al San Primo.


Sono state, quindi, ribadite le contro-proposte elaborate dal Coordinamento per una fruizione più sostenibile della montagna ed è stato possibile partecipare alla raccolta firme, come manifestazione autentica e consapevole di protesta nei confronti della visione a breve termine, adottata dalle Amministrazioni locali, che si ostinano ad ignorare le richieste di confronto, da parte della cittadinanza attiva.


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